La salute mentale è un diritto, non un prodotto

Negli ultimi giorni la comunità delle psicologhe e degli psicologi si è trovata a discutere su un’operazione di marketing e pubblicità da parte della piattaforma di psicologia online UnoBravo. L’oggetto del dibattito era la scelta della piattaforma di offrire due sedute gratuite a chi acquistava un prodotto di una nota marca di prodotti per l’igiene personale.

La discussione intorno a questa scelta si è fatta subito molto accesa e ha avuto una risonanza importante sia sui social che all’interno degli ordini professionali.

Come gruppo, stiamo seguendo gli sviluppi di questa vicenda e ne abbiamo discusso, cercando di trarne alcune riflessioni che ci sembrano utili per la comunità sia di operatori che di pazienti. 

Da una parte, i professionisti denunciano una mancanza di “serietà” e “decoro” in queste pratiche commerciali. Dall’altra, alcunə sottolineano come le piattaforme online abbiano risposto a un bisogno della popolazione che non viene soddisfatto né dal sistema pubblico né individualmente dai professionisti. Altrə ancora, mettono in evidenza l’importanza di abbattere lo stigma della salute mentale e come queste campagne pubblicitarie di massa possano agevolare questo processo.

Queste posizioni ci sembrano mostrare gli aspetti complessi e difficili della situazione della salute mentale in Italia (e nel mondo) e per questo crediamo sia importante esplorarli.

Come prima cosa riteniamo che il problema delle piattaforme online non sia inerente al “decoro”, parola che rifiutiamo e che abbiamo visto essere usata negli anni per reprimere dissenso e marginalizzare le persone sia all’interno del contesto della salute mentale che in altri (come ad esempio le questioni abitative, quelle relative alle persone migranti e molte altre). Cosa significa essere “decorosə” dal punto di vista professionale in un mondo dove la marginalità è criminalizzata e le diseguaglianze economiche sempre più evidenti?

Lasciamo questa domanda aperta allə colleghə.

In secondo luogo, concordiamo che le piattaforme online abbiano riempito “un vuoto”. La richiesta di supporto psicologico aumenta in un mondo sempre più complesso: orari di lavoro incompatibili con la vita privata, costo della vita in aumento, salari bassi, precarietà sono solo alcune delle difficoltà che le persone si trovano a fronteggiare quotidianamente. 

Allo stesso tempo, il progressivo e inesorabile smantellamento della sanità pubblica, nello specifico della salute mentale comunitaria e territoriale, si traduce nell’abbandono dello stato e in un incentivo a una privatizzazione sempre più aggressiva e legata a doppio filo alle storture del mercato.

La privatizzazione della salute mentale non ha un effetto solo sui pazienti e sulla comunità a ampio spettro, ma anche sui professionisti, specialmente i/lə giovani operatorə. La mancata presenza di strutture pubbliche funzionanti, lo scarso se non inesistente investimento sul lavoro dellə operatorə di salute mentale porta sempre più i/le giovani psicologə a scegliere di lavorare per aziende private con grandi capitali. Spesso è una scelta obbligata fatta per pagare la costosa formazione professionale, le supervisioni e le lezioni tenute da professionisti affermati. Ci sembra che anche questo elemento sia fondamentale da approfondire e auspichiamo una presa di coscienza dell’insostenibilità di questo sistema formativo e lavorativo da parte dei professionisti più anziani.

Le piattaforme si inseriscono all’interno di questo quadro e si ingigantiscono e arricchiscono mentre il mondo – non solo quello della salute mentale – è in fiamme.

La salute mentale si trasforma da diritto – per tutta la comunità – a prodotto, messo in vendita secondo le regole di un mercato spietato e con modalità pubblicitarie che ne esaltano le caratteristiche “commerciali”.

In gioco c’è molto di più del “decoro” della professione, ma c’è un’idea di salute mentale che forse va oltre il concetto stesso di salute mentale come lo conosciamo oggi. C’è un sistema che nella migliore delle ipotesi non funziona, nella peggiore delle ipotesi opprime e, come professionistə, siamo coinvoltə e a volte, consapevolmente e inconsapevolmente, complici. È il momento di tornare a parlare di salute mentale politica e comunitaria e riscrivere le premesse di questo dibattito.